Mennea, l’impossibile corsa verso l’infinito

19 Maggio 2020

LÒRIGA STORY - Viaggio tra gli olimpionici azzurri: il grande Pietro raccontato da chi ha vissuto ogni sua impresa. I trionfi e quella “inestinguibile aspirazione a fare sempre di più”

I miei ricordi - Avendo conosciuto personalmente gli olimpionici dell’atletica italiana ve li ricordo, con particolari talora inediti delle loro carriere. Vanni Lòriga

Il 16 aprile 1967 fu, come già è stato scritto, un giorno storico per l’atletica italiana. Quella domenica, mentre Silvano Simeon migliorava per tre volte il record di Adolfo Consolini nel lancio del disco (57,86, 57,90 e 59,96 contro il precedente 56,98) il quindicenne Pietro Mennea disputava la sua prima gara in trasferta per correre a Foggia sulla distanza degli 80 metri piani.

Marciatore nell’AVIS Barletta
Diventava in quel momento un velocista dopo aver avvicinato l’atletica con la marcia. Allora a Barletta c’era la più forte squadra del “tacco  e punta”, la famosa AVIS fondata dal professor Ruggiero Lattanzio, sodalizio che per sette volte consecutive vinse il Trofeo Fernando Altimani che veniva assegnato alla migliore compagine nazionale. Nel 1965, come testimonia Vittorio Visini (record di 67 presenze in azzurro), tesserato AVIS, nella categoria ragazzi si era cimentato proprio Mennea ricevendo buoni consigli da Pino Dordoni...

La staffetta di Termoli 
Del Mennea velocista avemmo notizie più precise l’anno dopo, quando, nel 1968, vinse a Termoli la “Leva della Staffetta” organizzata dal Corriere dello Sport. Da allora non ci perdemmo mai di vista e ritengo di essere il giornalista che ebbe con lui, in una quarantina di anni, i maggiori contatti, durante e dopo la carriera agonistica. Fui al suo fianco anche quando nel 1997 ricevette a Barletta il Collare Olimpico dal presidente del CIO Samaranch ed in parecchie altre occasioni legate al ricordo di Lattanzio e alla presentazione di alcuni libri firmati da Pietro. Fui addirittura soprannominato il “Menneologo” e pertanto non mancai di meravigliarmi quando in un certo film TV fui presentato come suo fiero avversario…

Borzov il levriero (e il suo segreto)
Avevo scritto alla vigilia delle batterie di Mosca che Mennea era rinato. Chi me lo garantiva? Era stato proprio lui a raccontarmi, mentre a bordo di un trenino inanellavamo giri su giri all’interno del Villaggio Olimpico. Il suo consigliere era stato il grandissimo Valerij Filipovic Borzov (un cognome che non a caso significa levriero). “Vedi - gli disse il campione olimpico di Monaco 1972 - adesso posso rivelare il mio segreto, quello che mi ha consentito di vincere quando era il momento di vincere.

Ho corso senza mai preoccuparmi degli altri. Ho sempre tenuto presente quello che valevo io. Nessun avversario mi condizionava, al punto che correvo solo per me. Così devi fare anche tu se vuoi essere padrone di te stesso e non schiavo degli altri”. I consigli del grande campione non furono vani. Mentre nei 100 metri era apparso quasi inesistente (10.50, 10.21 e  10.58, eliminato in semifinale) nella gara dei 200 è imbattibile: 21.20, 20.60, 20.70 ed in finale si afferma con 20.19 contro il 20.21 di Wells che per 199 metri era stato in testa. 

Non ho vinto io, ha perso Wells
Pietro Paolo Mennea aveva messo a frutto il lavoro di una dozzina di anni teso all’incremento della resistenza alla velocità. Nessuno ha mai faticato come lui. Ed inoltre si era affidato solo alle sue certezze anche se, al contrario di quanto gli aveva consigliato Borzov, non aveva corso per “se stesso” ma “contro se stesso” come affermava Vittori. Ne avemmo la conferma il giorno dopo quando, a grande richiesta della stampa straniera, fu organizzata una conferenza stampa in una sala dello Stadio Lenin. Mennea non esprimeva felicità ma irradiava tristezza infinita. “Non è Mennea che ha vinto - affermò parlando come al solito in terza persona - ma è stato Allan Wells che ha perso…”. Il tutto nella meraviglia generale mentre scendeva su di noi un senso di gelo. Al punto che un collega giunto in ritardo mi chiese: “Cosa è successo? Gli hanno tolto la medaglia d’oro?”. Lo rassicurai ma da quel momento mi chiesi perché non fosse felice neanche nel momento del massimo successo.

La vita in via di Porta Reale 20
E per darmi una risposta sono risalito alle sorgenti della sua vita di uomo. E tempo fa mi sono recato a Barletta. Il suo prezioso amico Nino Vinella mi ha condotto in via di Porta Reale 20. Una piccola targa è il ricordo che gli ha dedicato la sua città. E proprio qui Pietro Mennea collocò i blocchi di partenza per una corsa senza fine per migliorare cultura e situazione sociale sua e del suo ambiente. Non bastano a lui i grandi successi nello sport; gli studi che lo portano alle lauree; la stesura di libri e testi; il Parlamento Europeo; una importante attività di commercialista. È perpetuamente insoddisfatto, l’ansia di perfezione non gli dà tregua. La sua corsa ha come obiettivo l’Infinito ma si sa che per sua stessa definizione non è raggiungibile. L’inestinguibile aspirazione a fare sempre di più e di meglio era la sua virtù. Ma fu anche il suo limite.

Lo rese famoso ma non felice.

*nella foto il quartetto dell’AVIS Barletta che il 20 ottobre 1968 vinse a Termoli la “Leva della Staffetta”. I ragazzi di Barletta (da sinistra D’Amato, Mattucci, Mennea e Pallamolla) prima di recarsi allo stadio rividero alla tv la finale di Città del Messico e il primato mondiale nei 200 di Tommie Smith che Mennea avrebbe migliorato 11 anni dopo. Un bel viatico.

PIETRO MENNEA
Nato a Barletta (Bari) il 28 giugno 1952, scomparso a Roma il 21 marzo 2013
Presenze in Nazionale: 52
Campione olimpico dei 200 metri a Mosca 1980, bronzo a Monaco 1972 nei 200 e a Mosca 1980 con la 4x400
La scheda su fidal.it

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